Come la retorica pro vaccini fallisce nel suo intento
Il dottor Roberto Burioni, professore di microbiologia e virologia all’Università San Raffaele di Milano, si impegna da più di un anno nella divulgazione scientifica a favore della vaccinazione attraverso la sua pagina Facebook. Ormai è un personaggio pubblico: qualche settimana fa il segretario del PD Matteo Renzi lo ha ringraziato per il suo impegno divulgativo contro coloro che, essendo contrari all’approvazione del decreto legge per la vaccinazione obbligatoria, “lottano contro la scienza”. Perché, al netto dei dubbi, tutti coloro che si impegnano contro il movimento antivaccinista sembrano certi di un fatto: questa è, né più né meno, una battaglia per la Scienza, quella con la “S” maiuscola. Razionalità contro irrazionalità, competenza contro follia, metodo scientifico contro superstizioni medievaleggianti. Ma la crociata illuminista che squarcia le tenebre del pensiero magico è una visione distorta dei fatti: questo tipo di retorica è il motivo per cui la sacrosanta lotta per ripristinare una “cultura delle vaccinazioni” rischia di fallire clamorosamente.
Nella trasmissione “In mezz’ora”, dopo una domanda della conduttrice Lucia Annunziata sull’approvazione del decreto che renderà obbligatori i vaccini ai bambini che dovranno iscriversi alla scuola dell’infanzia, Burioni ha risposto che bisogna distinguere “due piani: quello scientifico e quello politico, poiché […] la scienza è molto chiara nel dire che i vaccini sono sicuri, è molto meno chiaro come si debba agire in modo che la gente si vaccini effettivamente”. La visione di una scienza separata dalla politica è tanto attraente quanto erronea: specialmente negli ultimi anni, si fatica sempre di più a comprendere i limiti di una o dell’altra. OGM, eutanasia, fecondazione assistita e dibattiti sul cambiamento climatico mischiano brevetti e decreti legge con laboratori e ricerca, conferenze internazionali con teorie scientifiche, referendum con tecnologie (basti pensare al quesito sul nucleare). La storia del Novecento, ancor più dei secoli precedenti, è storia di reificazione di scoperte scientifiche in eventi storici e viceversa: il secondo conflitto mondiale spinge il Progetto Manhattan che genera la bomba atomica che determina il clima della guerra fredda. Fermiamoci un attimo a ripercorrere l’opera di divulgazione di Roberto Burioni: egli “scende in campo” per motivi politico-sociali (calo delle vaccinazioni su territorio nazionale), appoggia una legge partorita da un parlamento, facendo riserve su emendamenti (volendo quindi influenzare il potere politico) e lo fa citando uno studio portato avanti dalla “Public Health England”, istituzione pubblica inglese. Ciò non significa che l’opera di Burioni sia “sporcata” dall’intromissione nel dibattito politico — tutt’altro! Che la medicina entri in politica e viceversa, come altri casi ci hanno dimostrato, è inevitabile: perciò la questione vaccini sì-vaccini no NON può essere ridotta a una semplice battaglia tra il bene scientifico e il male ignorante e irrazionale, poiché esiste una grande quantità di altre variabili che provengono da luoghi e discorsi diversi. La retorica burioniana (e con la sua quella di molti altri) vede solo un piano di questa lotta, che è quello dell’alfabetizzazione scientifica, pretendendo di elevarlo a unico esistente e ritenendo “la politica” un mero mezzo di una o dell’altra fazione. Questa narrazione mi sembra fortemente incompleta: vediamo perché.

Copertina del libro di Burioni, dalla sua pagina facebook.
Potremmo brevemente riassumere così l’idea di Burioni: “gli studi mostrano che la somministrazione dei vaccini è più sicura del rischiare patologie derivanti da malattie prevenibili con gli stessi -> è necessario vaccinare il più possibile per avere immunità di gruppo”. Questo è un discorso “puramente scientifico”? No, perché esso applica un principio politico, antitetico a certe interpretazioni del liberalismo classico, che è quello della prevalenza della salute come “interesse generale” sul diritto a non essere obbligati a sottoporsi a determinati trattamenti sanitari (entrambi i diritti si trovano nell’articolo 32 della Costituzione italiana). Burioni, forse involontariamente, sta dando una lettura politica ai dati provenienti dai laboratori. Contro questa lettura già si scagliavano i “free Vax” del XIX secolo: nell’Inghilterra Vittoriana nacquero circa 200 associazioni contro la somministrazione obbligatoria di vaccini da parte dello stato britannico decretata nel 1840. Alcune di esse erano assolutamente fiduciose verso il progresso e il metodo scientifico, ma il loro spiccato carattere liberale faceva sì che esse manifestassero contrarietà all’imposizione vaccinale proprio per gli stessi motivi di cui oggi alcuni promotori del “vaccino libero” si fanno portabandiera: da una lettera dell’associazione “free vax” “Vaccinare informati”
la legge ci permette ad oggi di applicare una pacifica e legale obiezione di coscienza sulla pratica vaccinale, perché pur essendo i vaccini fondamentali ed obbligatori, rimangono pur sempre un farmaco preventivo (da inoculare in un corpo sano che non è detto arriverà mai a contrarre la malattia) quindi lo Stato Italiano [o Inglese, ndr] non ci impone la loro inoculazione.
[Documento sottoscritto da genitori dell’associazione]
Sorpresa: il ferreo empirista e sostenitore della teoria dell’evoluzione (quando l’”Origine delle specie” era appena stata pubblicata) Alfred Russel Wallace faceva parte di un movimento antivaccinista, la “Società Londinese per l’abolizione della vaccinazione compulsiva”. Wallace è spesso citato accanto a Darwin per il suo contributo nella ricerca sull’evoluzione delle specie, quindi non era il tipico negazionista del metodo scientifico che Burioni (non solo lui) dipinge.
Il “negazionista del metodo scientifico” è un archetipo costruito da coloro che si oppongono alle manifestazioni contro l’obbligo vaccinale: questo stereotipo vede tutti gli antivaccinisti come ignoranti, non studiosi, boccaloni che cadono nelle bufale di internet, etc. Peccato che proprio questa pare essere una balla: da uno studio di Observa emerge che “[i] favorevoli a tutte le vaccinazioni sono più diffusi tra chi ha un titolo di studio più basso e più basso alfabetismo scientifico; sono meno diffusi tra i laureati e i cittadini con un alto alfabetismo scientifico[…] I più istruiti e più alfabetizzati dal punto di vista scientifico tendono più spesso degli altri a convergere sulla posizione intermedia, lasciando quindi al singolo di valutare l’opportunità della vaccinazione”. In poche parole lo scettico dei vaccini è più istruito e pare convergere su posizioni che premiano maggiormente la scelta individuale rispetto alla salute collettiva.
Al netto di quanto detto, possiamo affermare due cose: il “discorso di Burioni” contiene una lettura politica (e – ripeto – non c’è nulla di anomalo o inficiante in questo) dei dati provenienti dal laboratorio; i “free vax” utilizzano un argomento tipico del liberalismo classico, la prevalenza della scelta individuale sull’imposizione statale, per giustificare la loro posizione. Nonostante questo, Burioni continua ad affermare che la lotta che si sta svolgendo è quella della Scienza (impersonata da lui) contro l’Antiscienza, mentre in realtà ciò che sta avvenendo è la lotta tra una lettura (politica) di dati contro un’altra lettura (altrettanto politica) di dati: ed è falso che gli stessi dati siano diversi, alzi talvolta sono proprio gli stessi. A riprova di ciò, riporto un altro stralcio del già citato documento dell’associazione Vaccinarsi Informati:
Come genitori comprendiamo perfettamente l’importanza della prevenzione delle malattie fatta tramite vaccinazioni nel momento in cui si verificassero i presupposti per il ritorno immediato di terribili epidemie, presupposti ad oggi assolutamente non presenti né sul territorio nazionale né su quello europeo (http://www.epicentro.iss.it).
Molti “free vax” non sono dubbiosi sull’efficacia statistica dei vaccini, ma possiedono una “scala dei valori” che pone la loro scelta individuale sopra la tutela della collettività. A loro occorre opporre argomenti etico-giuridici, non un muro di intransigenza sotto forma di paper. Allo stesso modo, tirare in ballo le case farmaceutiche non andrebbe aprioristicamente etichettato come “complottismo”, poiché il tema può aggiungere un ulteriore strato di discussione che amplia e rappresenta in maniera più complessa, quindi completa, la realtà. Citare Big Pharma è visto dai sodali del “blastaggio” burioniano come un diversivo che attacca l’oggettività scientifica: questo è un atteggiamento dogmatico che rigetta un argomento, sottintendendolo spesso come “di second’ordine”, sul quale invece si può e si dovrebbe discutere, poiché si connette a una molteplicità di ambienti (brevetti, ingerenza di privati/stati negli studi) che influenza in maniera pesante proprio quell’ambiente medico che si vorrebbe fuori da ogni conflitto politico.
Ci troviamo in un momento delicato: il discorso di Burioni (ma anche il decreto legge è stato portato avanti con questo spirito) ci proponeva una semplice antitesi tra razionalità e irrazionalità, mentre ora il discorso sembra essersi arricchito di variabili come le dottrine politiche, la filosofia del diritto, il possesso di mezzi di produzione, il capitale culturale degli attori in campo: ma qual è, allora, la battaglia che si sta combattendo? La risposta è che non si sta combattendo una battaglia, ma, come ogni fenomeno sociale, si stanno combattendo molteplici battaglie: a livello sperimentale (sulla sicurezza dei vaccini), a livello economico (sul possesso e sul commercio di medicinali), a livello politico (chi votano/non votano i free vax?), a livello etico-giuridico (vale più la tutela della libertà individuale o la tutela della salute collettiva?). Il sociologo della scienza Bruno Latour definirebbe il sisma in corso sul tema vaccini con il concetto di guasto: l’oggetto che è la vaccinazione di massa pare essersi guastato. Cosa significa? Se il mio cellulare si guasta succede qualcosa di curioso: un oggetto che prima era perfettamente inserito nella mia vita quotidiana e del quale, utilizzandolo, non immaginavo minimamente tutte le implicazioni a livello tecnico (quando usiamo un cellulare non pensiamo ai materiali estratti per la sua fabbricazione, al lavoro di assemblaggio, ricerca, programmazione, trasporto) improvvisamente si rivela nella sua complessità. Devo chiamare un call center, poi portarlo in un negozio di riparazione, vederlo dissezionato, spedirlo all’azienda produttrice: l’oggetto del quale ignoravo tutto ciò che non fosse la sua interfaccia si rivela improvvisamente portatore di un coagulo di relazioni sociali (il call center), economiche (il negoziante, l’azienda che lo ritira), tecniche (il malfunzionamento e le ipotesi che si fanno su di esso). Una volta che il mio telefono mi sarà restituito aggiustato, tutto questo complesso e le modificazioni che ha subito torneranno “sullo sfondo”, di nuovo ignorate nell’uso quotidiano dell’oggetto. Nelle parole di Latour:
è uno dei momenti privilegiati per constatare ancora una volta non solo fino a quanto dipendiamo dalle tecniche […] ma con quale percorso preciso si instaura questa dipendenza. […] Quando tutto va per il verso giusto è invisibile… ma appena le cose cominciano a non andare per il verso giusto fa apparire una stratificazione veramente vertiginosa di livelli successivi […] [D]a tecnico che era, l’oggetto è diventato sociotecnico: attualmente è manipolato da un gruppetto di persone parzialmente in disaccordo che lo sottopongono a prove di ogni genere per scoprire come è fatto.
[Cogitamus, Sei lettere sull’umanesimo scientifico, pg. 48]
Lo stesso è accaduto con la vaccinazione di massa: si è guastata, per una serie di motivi che non è semplice spiegare (calo nella fiducia delle istituzioni, cambiamento nel concetto di scienza agli occhi dell’opinione pubblica, mutamento nel concetto di salute personale in rapporto con quella collettiva, democratizzazione dei mezzi di conoscenza attraverso internet) rivelando al suo interno tutta una serie di pratiche (economiche, educative, mediche, giuridiche) che prima ignoravamo, pur vaccinandoci normalmente. Questa rappresentazione è a mio parere molto più attinente rispetto alla narrazione diffusa dello “scientismo contro oscurantismo” ed è potenzialmente più feconda, poiché non riduce il problema a una sola chiave di lettura ma pretende di scendere a compromessi con problemi diversi (seppur concatenati) che possiedono un loro peso. Un approccio del genere non vede la luce della scienza sconfiggere (o perire) contro le tenebre della superstizione, ma una serie di conflitti diversi che possono muoversi in una direzione o nell’altra e spostare le posizioni di ogni gruppo di pressione.
A prescindere dalle critiche sull’“approccio comunicativo” di Burioni (l’articolo di ValigiaBlu fa scuola in questo senso), fatto di frecciatine, sarcasmo e alterigia che ben poco contribuiscono alla divulgazione in un terreno di scontro già ben polarizzato (il consenso non si costruisce in tempo di guerra, rifletteva Massimiliano Bucchi, e con questi toni la sfida è persa in partenza, aggiungo io), il vero problema nel suo discorso è il voler affrontare tutti i terreni di scontro che il problema vaccinale comporta attraverso una sola chiave di lettura, ovvero quella dell’interpretazione di dati di laboratorio. La strategia del discorso di Burioni non è nuova, è anzi sempre più diffusa: la giustificazione di atti politici attraverso “la Scienza”: ma “la Scienza” non esiste, o meglio non esiste come attore unico, poiché è un complesso eterogeneo di persone, di teorie, di dati, di interpretazioni, di strumenti, di finanziatori, di discussioni litigiose che si pretende diano un parere univoco su questioni sociali complesse. Usare l’interpretazione di dati di laboratorio per cancellare con un colpo di spugna il labirinto di rivendicazioni degli antivaccinisti, pretendendo inoltre che questa palese semplificazione sia considerata come facente parte di un ordine di verità superiore è il modo peggiore di convincere e di vincere nel dibattito sui vaccini. Utilizzare un’unica fonte di conoscenza, considerata più rilevante di tutte le altre, per affrontare una concatenazione di questioni diverse e a modo loro complesse assomiglia, ahimè, proprio a quel “pensiero magico” che Burioni e Angela condannavano dalla Annunziata.
Oggi abbiamo bisogno di una molteplicità di risposte, economiche, mediche (e Burioni qui è davvero efficace), politiche, giuridiche, per controbattere colpo su colpo alla molteplicità di domande, provenienti da disparati ambiti disciplinari, che il guasto delle vaccinazioni di massa ha messo in luce. Se in una guerra la prima a perire è la verità, in questa guerra vax-novax, fomentata da Burioni come dal “popolo arancione”, la prima a perire è stata proprio la verità sull’oggetto di cui si sta parlando: non (solo) dell’efficacia statistica di un medicinale, ma della pratica delle vaccinazioni di massa e tutti gli strati di dibattito che essa comporta. Il dibattito sui vaccini si può vincere solo uscendo dal terreno della polarizzazione razionale-irrazionale e sostituendo questo modello con una analisi della molteplicità di fatti sociali che sta dietro al fenomeno della vaccinazione di massa: è questa la migliore espressione di un dibattito scientifico, non quella di un’autorità discesa dal cielo che dall’alto della Verità del suo Verbo pretende di risolvere tutti i problemi, senza fatica, senza intermediazione, senza compromessi. Burioni, in fondo, ha ragione: il vaccino non è un’opinione. Il vaccino è tante opinioni diverse, di diversi tipi, e quando queste opinioni sono messe in dubbio dobbiamo essere pronti a difenderle, con strumenti diversi, una a una.
Foto di copertina: The Cow-Pock—or—the Wonderful Effects of the New Inoculation! Caritcatura di James Gillray, 1802.